venerdì, Giugno 27, 2025
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Dal cuore del Roero al mare di Napoli: i vini piemontesi incontrano la cucina del Caracol

C’è un’Italia che si scopre attraverso i suoi contrasti, le sabbie marine del Roero che si fanno vigna, le rocche che tagliano le colline come cicatrici geologiche e poi il mare profondo dei Campi Flegrei, affacciato su un orizzonte al tramonto. In mezzo il vino, mezzo di trasporto e strumento di racconto.

È stato questo, in fondo, il senso della serata organizzata dal Consorzio Tutela Roero al ristorante stellato Caracol di Bacoli, dove i vini delle colline cuneesi si sono messi in ascolto di una cucina che parla un altro linguaggio, quello del Mediterraneo.

Il Roero, terra a tratti ancora timida rispetto ai giganti enologici che la circondano, ha scelto da tempo di non rimanere nella comfort zone delle sue colline. Dopo la tappa romana, Napoli è stata il secondo approdo di un tour che porterà i vini della denominazione anche a Milano e Bologna. L’obiettivo? Non solo promuovere, ma dialogare uscendo dai confini regionali per comprendere come i propri vini vengono percepiti altrove, come ha spiegato il direttore del Consorzio Massimo Damonte.

Il Roero ha una voce distinta, cesellata nella propria identità, ma non ancora sufficientemente riconoscibile. Portarla in contesti diversi obbliga a raccontarla meglio affrontando una sfida, quella della narrazione che parte dal territorio.

Siamo in Piemonte, tra Langhe e Monferrato, ma sulla riva sinistra del Tanaro, dove la viticoltura convive con una natura più varia fatta di boschi, orti, frutteti e soprattutto di rocche, profonde fenditure nel terreno che testimoniano l’antica origine marina di queste colline, dove sabbia, calcare e argilla si mescolano in proporzioni sempre nuove.

Questa complessità geologica ha un riflesso diretto nel bicchiere. L’Arneis, vitigno a bacca bianca coltivato quasi esclusivamente qui, dà vita a vini eleganti, minerali, mai eccessivi. Il Nebbiolo, che nel Roero matura su suoli più sabbiosi rispetto alle Langhe, esprime una versione più gentile ma non per questo meno profonda, un equilibrio che non ha bisogno di muscoli per imporsi.

Il sistema produttivo della zona è fatto da 258 soci, oltre 1.300 ettari vitati, per una produzione che supera gli 8 milioni di bottiglie l’anno, il 60% delle quali destinate all’export. Una rete coesa, in crescita, che ha saputo costruire negli anni un’identità fatta più di contenuto che di clamore.

La serata al Caracol non è stata solo una degustazione, ma una prova di versatilità. I vini del Roero, nati tra colline che un tempo erano fondali marini, sono arrivati sul mare per confrontarsi con una cucina che del mare fa la sua grammatica. Lo chef Angelo Carannante, stella Michelin con radici nella terra vulcanica dei Campi Flegrei, ha costruito un percorso pensato per far emergere punti di contatto e tensioni tra ingredienti marini e vini collinari.

Lo Spumante Metodo Classico Roero DOCG Arneis Ritastè 2019 di Tibaldi, servito all’aperitivo, ha accompagnato l’arrivo in terrazza, bollicina fresca e immediata.

Il menu è poi entrato nel vivo con ventresca di tonno e spollichini, abbinata al Roero Arneis 2024 di Marco Porello, giovane e floreale ma con toni salini a chiudere il sorso, in un gioco tra grassezza e acidità che ha subito chiarito l’intento della serata, niente forzature ma ascolto reciproco.

A seguire, tubetti rigati con anemoni, ricci di mare, salsa al rafano e sconcigli, piatto sapido, umido, stratificato, messo in relazione con un sorprendente Arneis Riserva 2017 di Angelo Negro:
è il primo Arneis in assoluto ad aver provato la strada del lungo affinamento, prodotto solo nelle grandi annate, sette anni di evoluzione per un bianco che non cerca di somigliare a nessun altro e che ha dimostrato di reggere, con discrezione, anche un piatto di tale intensità marina.

La portata successiva, un risotto Carnaroli riserva San Massimo con gamberi, salsa verde e limone candito, ha incontrato un Roero DOCG 2022 di Gabriele Cordero, giovane Nebbiolo in cui il frutto e la freschezza si fanno ponte verso abbinamenti non scontati, un vino che ha saputo accompagnare e non sovrastare.

Poi il momento più sorprendente: spigola, insalatina di alghe, ravanelli, asparagi di mare, maionese alla brace e gazpacho d’ostriche, servita con un Roero DOCG 2001 “Printi” di Monchiero Carbone. Vent’anni di bottiglia e una presenza ancora viva nel bicchiere, un vino che ha accettato la sfida di una cucina affumicata, salmastra e vegetale, e ne è uscito con grazia.

Il dessert, nuvola di limone e alghe, ciliegie, mandorle e basilico, più una selezione di petit fours, ha concluso la serata mantenendo lo stesso tono: misura, equilibrio, ascolto.

Più che dimostrare, la serata al Caracol ha esplorato. Ha messo in relazione due mondi distanti senza cercare compromessi, lasciando che i vini parlassero attraverso le pieghe degli abbinamenti.

Il Roero, in questo contesto, ha scelto di non imitare, ma di raccontare ciò che è, un territorio che non ha bisogno di volumi alti per farsi notare, ma che chiede tempo, attenzione e sguardo.

La strada verso una maggiore riconoscibilità nazionale passa anche da serate come questa, dove i confini si attraversano per curiosità e non per convenzione, dove il vino torna a essere quello che dovrebbe sempre essere, mezzo per leggere i luoghi, le persone, e il tempo che passa.

Leggi l’articolo anche su Horecanews.it e CanaleVino.it

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